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Sui Causa
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threegangs

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italy
MessaggioInviato: Gio Mar 11, 23:00:34    Oggetto:  Sui Causa
Descrizione: Il respiro della ragazza inizia a farsi raschiante, sempre più breve...
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Dolcemente le carezzo la testa, passando le dita fra i suoi capelli sparsi sull’erba. Una foglia di tiglio è rimasta incastrata nel suo oro sporco, la rimuovo con delicatezza. “Sei la più bella che abbia avuto finora” le dico, mentre mi sollevo dal suo corpo, svuotato di energie ed ebbro di piacere. La sua gonna corta è semi sollevata, e con un sorriso la rassetto. In piedi, mi stiracchio e schiocco la schiena. “Questo tipo di ginnastica è faticosa, mia cara. Nessuno lo dice mai, ma alla fine io mi sento sbattuto come una bandiera nella tempesta. Ma non ci rinuncerei mai. Questo tu lo sai, no?”. Una foglia giallo-verdina cade svolazzando da un albero, e con un lieve –plic- si va a posare sulla chiazza vermiglia che si allarga lentamente sull’erba. Seguo il rosso fino al corpo riverso del ragazzo, a faccia in giù nel suo stesso sangue. “Anche lui ora lo sa. Non se lo dimenticherà, questo è certo. Una ragazza come te è un fiore troppo raro per portarlo in giro così, incautamente, sotto il sole. E’ un gioiello troppo prezioso, e ci sono troppi ladri in giro. Gente cattiva. Gente come me. Adesso lo sa. Adesso lo sapete.”
Gli occhi della ragazza, immobili, fissano il cielo: una spruzzata d’azzurro oltre il verde intrico di rami. Un rivolo di sangue rosso esce dall’angolo della sua bocca perfetta e scende sul collo, dove si confonde con le abrasioni e i graffi lasciati dalle mie mani. Non avrei mai usato armi contro di lei, sarebbe stato un sacrilegio. Solo le mie dita strette attorno alla sua gola, calibrando bene la forza, aumentando la stretta solo il minimo indispensabile. Calibrare i tempi in modo perfetto, perché la vita la abbandoni proprio quando raggiungo il culmine del piacere. Solo così la sua morte avrebbe un senso. Solo così posso dire di aver ottenuto un nuovo successo.
Adesso che ho concluso la mia opera, però, mi assale il consueto senso di disagio. Mi accendo una sigaretta –presa dalla tasca della giacca del ragazzo- e mi allontano. Non ho fretta, né mi preoccupo della morbosa curiosità di chi non può capire il senso di ciò che faccio, ma vorrebbe cercare di impedirmelo. Non possono in alcun modo impensierirmi. Ma il disagio aumenta, e una fitta alla testa mi fa capire che sta per succedere di nuovo. Il tessuto del tempo-spazio si deforma attorno a me, come una vertigine, e volente o nolente vengo trascinato di nuovo nel tunnel senza fondo dei miei ricordi, indietro attraverso le epoche, avanti e indietro nel corso della storia, apparentemente a casaccio ma in realtà seguendo una logica ben precisa…riportandomi indietro a quel giorno, quel fatidico giorno di venticinque anni soggettivi fa…
Allora ero un giovane ricercatore di fisica innamorato del suo lavoro e della sua donna: Violet, la bellissima elfa bionda che illuminava la mia vita. Ero nel mio laboratorio, attonito davanti alla formula che appariva luminosa sullo schermo del mio PC. L’avevo scritta io, certo, eppure mi sembrava la cosa più strana e incredibile che avessi mai visto. Era la scoperta del secolo, no, che assurdità! Era la scoperta di tutti i secoli passati e futuri, la chiave che spalancava le porte del tempo-spazio con una facilità e una naturalezza incredibili. Era come se per tutta la vita avessi avuto una benda su un occhio senza saperlo e adesso, semplicemente, me la fossi tolta, apprezzando per la prima volta il senso della profondità; ed era la profondità inconcepibile del tempo e dello spazio, completamente alla mia mercè.
Ricordo che un’ombra passò davanti alla finestra del mio studio, si soffermò un attimo e poi proseguì. Molto tempo dopo avrei scoperto a chi appartenesse. In quel momento non mi sembrò affatto importante; ma la prima cosa che feci fu chiamare Violet.
Naturalmente lei non capì appieno la portata della mia scoperta. Si congratulò, rise, mi abbracciò; ma io sapevo che non aveva veramente capito. Se avesse capito, sarebbe ammutolita e avrebbe perso ogni colore in viso; non avrebbe certo pensato alla mia carriera nell’università, alle pubblicazioni e alla possibilità di vincere un premio Nobel. Tutte bazzecole. Ma non volli turbare la sua gioia, e brindai con lei alla fama e alla gloria e al denaro che sarebbero dovuti venire in futuro – come se per me la parola “futuro” avesse ancora senso.
E così dopo il ristorante ci trovammo sulle rive del laghetto, sotto una luna quasi piena, circondati dal frinire dei grilli e cullati dallo sciabordio soave e pigro delle acque dolci e nere. Lei era bellissima, e in quel momento i misteri del tempo e dello spazio mi sembrarono meno urgenti da penetrare; dopotutto, quando si ha la chiave, che senso mai può avere la fretta?
E fu così che non lo vidi e non lo sentii arrivare. Non ricordo altro che un urlo, l’urlo di Violet, poi un dolore alla testa e tutto che diventava buio. Mi sarei svegliato dal coma solo due mesi dopo: non potei nemmeno assistere al suo funerale, ne’ fornire un qualsiasi indizio agli investigatori. Ma non ero disperato: la morte di Violet era un evento reversibile, pensavo, perché comunque io avevo la chiave. Aspettai di recuperare le forze, poi mi chiusi nel mio vecchio studio e recuperai tutti i miei appunti. Nonostante i danni cerebrali, ero ancora in grado di gestire la mia formula magica; e lo feci.
Piegai il tessuto del tempo-spazio, e ritornai indietro al giorno della scoperta. Avevo valutato che la cosa più facile da fare fosse avvertire me stesso di ciò che sarebbe successo; in tal modo avrei risolto tutto. Passai davanti alla finestra del mio studio, mi sentii esclamare di gioia; arrivai davanti alla porta, e allungai la mano verso il campanello.
Ma non potei suonare. Una forza misteriosa me lo impedì. Iniziai a sudare freddo. Una scossa di agghiacciante consapevolezza si fece strada in me.
Io lo ricordavo benissimo. L’ombra era passata davanti alla finestra – ero io; ma nessuno aveva suonato il campanello. Se non era successo, non potevo farlo succedere: il continuum tempo-spazio si auto-tutelava, mi impediva, con una potenza a me ignota e in un modo che non ho tuttora compreso, di cambiarlo.
Corsi via, con il cuore in subbuglio. Non riuscivo a credere a quello che mi succedeva. Saltai avanti nel tempo di alcune ore, fino a prima dell’aggressione. Non potei avvicinarmi a più di cinquanta metri; vidi in lontananza la mia sagoma e quella di Violet abbracciati sull’erba; vidi comparire il terzo personaggio, un uomo con un abito scuro; lo vidi che mi colpiva, lo vidi avventarsi su di lei, lo vidi mentre la violentava e la strangolava; poi si voltava e fuggiva, le mani fra i capelli. E non potei fare nulla per impedirlo.
Così corsi via, disperato. Senza nemmeno accorgermene viaggiai di nuovo nel tempo; mi ritrovai molti anni nel futuro – si capiva per le strane auto volanti che sfrecciavano in aria e la sagoma di quella che sembrava una gigantesca struttura fluttuante sospesa nel cielo lattiginoso sopra di me. Mi trovavo in un parco in una città sconosciuta, che però sotto certi aspetti mi ricordava un po’ Londra. Non seppi mai chiaramente dove e quando fosse quella fatidica bolla spazio temporale, ne’ mi interessa; so solo che mi ritrovai lì, senza sapere il perché. Camminai lungo un vialetto, attonito, trascinando i piedi come un sonnambulo. Avevo il più grande potere che si potesse immaginare; e non potevo farne uso nell’unico modo che mi interessasse, per salvare l’unica cosa importante della mia vita. Quella formula era una totale fregatura!
Proprio mentre ero assorto in questi pensieri, sentii delle voci. Risate. Un conato di rabbia risalì nel mio petto: chi osava ridere, mentre io avrei cancellato il Sole per sfogare la mia disperazione? Senza rendermene conto mi avvicinai alla fonte del rumore in punta di piedi, senza un suono. Erano in due: un ragazzo e una ragazza, abbracciati. Ridevano e scherzavano in una lingua strana, che solo in parte riecheggiava parole note. La lingua del futuro.
Iniziarono a spogliarsi, sempre con lo stesso contorno di risate e parole incomprensibili. Strinsi i pugni, con odio. Come osavano? Come potevano questi due idioti essere così felici? Era un insulto, era una provocazione. Non l’avrei permesso, perché io ero ormai un dio, piegavo al mio volere il tempo! Non avrei accettato una simile umiliazione.
Fu così che iniziai a uccidere. Per vendicare Violet. Per ribellarmi all’invisibile mano che mi impediva di salvarla. E perché in ogni donna che stupravo e uccidevo, rivedevo lei. Rivivevo i suoi ultimi istanti di vita. Era un modo di esserle vicino. Un modo per non abbandonarla.
Muovendomi a piacere nel tempo e nello spazio, ho potuto colpire ovunque e in qualsiasi epoca. Col tempo ho adottato uno stile d’azione schematico, perfettamente ritualizzato. Ogni aggressione è un fiore insanguinato lanciato sulla bara invisibile di Violet. E un chiodo in più sulla mia.
La distorsione spazio temporale adesso è finita. Non so dove mi trovo; ma è notte, sono in riva a un lago. Ormai non mi importa più niente di sapere dove e quando sono; tanto, in un modo o nell’altro compaio sempre a breve distanza dalla mia prossima vittima. È come se il continuum sapesse esattamente cosa devo fare e mi aiutasse discretamente nel mio lavoro. Mai una volta mi ha fatto apparire in luoghi men che ideali. Ed infatti, ancora una volta, ecco le mie prossime prede. Sono illuminate dalla luce della luna, quindi agisco con la massima velocità. Ormai i movimenti sono una routine consolidata: il balzo iniziale, l’attacco alle spalle all’uomo, per spezzare ogni resistenza, e poi l’attacco alla donna senza darle il tempo di reagire. Come sempre le immobilizzo le mani dietro la testa con la sinistra, poi le salgo sopra col mio corpo. Sento l’adrenalina e l’eccitazione salire alle stelle, mentre la ragazza geme e tenta di urlare. Inizio a stringerle il collo, con studiata precisione: deve morire solo al momento giusto, solo così sarà un sacrificio valido in nome della mia amata Violet, morta in quello stesso modo. Pensare a Violet mi fa vedere le sue sembianze nel volto madreperlaceo di questa troietta, e le lacrime cominciano a scorrere sulle mie guance. Sotto una luna simile, in questo stesso modo, in un altro tempo e un altro luogo la mia Violet ha trovato la morte per mano di uno sconosciuto. Io adesso ripeto questo rito, e lo dedico proprio a lei, alla sua anima che vive solo dentro di me. Essere qui ora è come essere lì con te quando sei morta; e rinnova ancora una volta il mio dolore e la mia disperazione impotente; ma oggi l’assassino sono io, io sono la parte forte, io sono il vincitore.
Il respiro della ragazza inizia a farsi raschiante, sempre più breve; e io sento che l’orgasmo è ormai vicinissimo. Stringo le mani attorno al suo collo e sento le ondate di piacere salire dal mio pene e scorrermi come fuoco sulle gambe e sulla schiena. Quando ho finito, lei ha appena smesso di respirare.
Perfetto. Le rassetto i capelli sul viso; alla luce della luna, il suo volto somiglia moltissimo al tuo, Violet. Mi alzo, seguendo il mio rito consolidato; le aggiusto la gonna e la camicetta. Somiglia così tanto a te, amore mio…
Un momento. C’è qualcosa che non quadra. Le gambe iniziano a tremarmi. Mi guardo intorno. Il ragazzo è riverso sull’erba, a faccia in su, con la testa macchiata di sangue; non è morto, ma respira debolmente. Anche alla luce della luna, non ho problemi a riconoscerlo.
Sono io.
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MessaggioInviato: Gio Mar 11, 23:00:34    Oggetto: Adv






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